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L’evasione al potere

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Questo pezzo è uscito su Pagina 99. (Fonte immagine)

Le Pussy Riot erano all’asilo, quando Dubravka Ugresic, insieme ad altre due colleghe, Slavenka Drakulic e Rada Ivekovic, fu costretta a lasciare la Croazia per la sua opposizione al nazionalismo. Era il 1993. «Prostitute, nemiche pubbliche, streghe» fu il gentile commento con cui il governo croato chiamò queste tre temibili donne. Dubravka Ugresic oggi vive tra l’Olanda e gli Stati Uniti, è una scrittrice di successo tradotta di 20 lingue, idolatrata in America dove è appena uscito il suo ultimo saggio “Europe in Sepia” (Open Letter Books), una raccolta di saggi politici che in cui l’autrice passa delle contestazioni di Zuccotti Park fino ai riots di South London. Da noi invece è meno conosciuta ma da poco è uscito il sorprendente “Cultura Karaoke” (Nottetempo, 408 pagine, euro 19,50, traduzione di Olja Perišić Arsić e Silvia Minetti), una raccolta di saggi che è stato finalista al National Book Critics Circle Award per la critica.

Secondo la Ugresic, la nostra cultura assomiglia al gioco inventato in Giappone negli anni Settanta: una cultura che riproduce malamente l’originale, moltiplica, copia, imita e si dimentica così della verità. “La vera essenza della cultura-karaoke sta nell’ostentazione di un io anonimo con l’aiuto dei giochi di simulazione. Alle persone oggi interessa piú fuggire da se stesse che scoprire il loro autentico io”. Dalla musica alla letteratura, dalla politica all’economia. Fino alla chirurgia plastica, che per eccellenza deforma e trasforma, dimenticandosi dell’originale. Come quella donna americana, racconta la Ugresic, che si è sottoposta a una infinità di operazioni per assomigliare sempre più alla sua dea: la Barbie. Oggi Cindy Jackson, la donna-surrogato, è più famosa e più autentica del suo idolo.

O come Valentina Hasan, una donna bulgara che si è presentata ai provini del programma tv dicendo che ai giudici che avrebbe cantato la canzone di Mariah Carey “Ken Lee” (la canzone “Without You”, che lei storpiando il ritornello, senza capire l’inglese, intitolava “Kee Lee”). La donna in poco tempo è diventata famosa e il suo video più cliccato dell’originale. Ancora oggi, racconta la Ugresic, nei forum su internet in molti provano a imitare la lingua inventata da Valentina Hasan. “In un solo mese il video è stato visto da quattro milioni di persone, Mariah Carey inclusa, che alla televisione francese ha ringraziato la sua imitatrice bulgara”.

Insuperabile la Ugresic quando parla della ex Jugoslavia di Tito e del “dilettantismo” comunista, tracciando una originale linea di connessione tra il dogmatismo di ieri e la tecnofilia di oggi: “Il comunismo era salito al potere con la Grande Rivoluzione di Ottobre e aveva fatto fiasco, ma le idee comuniste (“Tecnologia al popolo! Cultura al popolo! Arte al popolo!”) sono risorte dalle ceneri e si sono realizzate – con successo – nella Grande Rivoluzione Digitale”. Spassoso e inquietante anche il racconto della città di Emir Kusturica, “Drvengrad”, che il regista ha deciso di costruire per sé e per visitatori curiosi (che per entrare devono pagare un biglietto). Le strade portano i nomi degli idoli del regista, tipo Federico Fellini o Maradona. L’intera città è in legno, Kusturica, però, Kusturica, in veste di direttore del parco naturale, ha proibito loro di tagliare la legna da ardere e da costruzione seguendo il suo esempio. “Io sono parte dell’ossigeno che respirate grazie alle foreste che custodisco,” ha fatto sapere. E così via. Dopo aver letto per intero questo saggetto non vorrete vedere per un po’ nessun film del regista che un tempo amavate.

Naturalmente la Ugresic ha ragione e non ha ragione. Esagera, ma le sue iperboli sono talmente intelligenti e argomentate da risultare convincenti. La democratizzazione della cultura dovuta alla Rete non ha portato solo danni e questo è chiaro. E anche il dilettantismo o il non-professionismo possono dare esiti sublimi. Basti pensare all’ultima Biennale di Venezia diretta da Massimiliano Gioni “Il Palazzo enciclopedico”, dove sono state esposte numerose opere di artisti autodidatti, come quella del mitico Marino Auriti, la cui opera ce ha dato il titolo alla rassegna veneziana. Anche l’idea che Internet sia “un mega-karaoke con un milione di microfoni” dove non importa cosa si canta ma l’importante è cantare è un’idea un po’ vetusta.

Lo stesso vale per la critica che la Ugresic fa dei fandom, le comunità digitali di fan, tra le quali emergono quelle letterarie: centinaia di migliaia di persone che si cimentano in testi imitativi dei classici della letteratura. È vero che la componente ossessiva dei fandom e i loro lessico fatto di sigle fanno spavento, ma è vero anche uno dei più grandi successi editoriali degli ultimi anni, la saga di “Twilight” di Stephenie Meyer, non è altro che il prodotto di una fan di Jane Austen e Emily Bronte. (A chi obietta che “questa non è letteratura”, rispondo che la saga dei vampiri ha avvicinato alla lettura milioni di ragazzine, perfino a quelle Jane Austen e Emily Bronte che forse non avrebbero mai imparato ad amare).

Scrittrice, critica, sceneggiatrice e autrice di libri per bambini, Dubravka Ugresic è nata nel 1949 a Kustina, nei pressi di Zagabria da padre croato e madre bulgara. Dopo aver studiato letteratura comparata, a metà degli Anni Settanta trascorse un anno a Mosca come ricercatrice. I suoi famosi scritti degli Anni ‘90, quelli che le valsero l’esilio, sono raccolti in “The Culture of Lies: Antipolitical Essays” (1995), mai tradotti, purtroppo, in italiano. Anche il suo romanzo “Il museo della resa incondizionata” è stato pubblicato da Feltrinelli, ma ora è tristemente fuori commercio. Ugresic, come avrete intuito, rimane una scrittrice profondamente sovversiva, irritante, a tratti fastidiosa nella sua intelligenza. Non molto è cambiato da quando in patria la chiamavano “strega”. “L’arte per essere critica, deve prima essere dolce”, diceva Charles Baudelaire. Ma nel caso di Dubravka Ugresic, con il suo piglio geniale e totalitario, il poeta dovrebbe fare un’eccezione.


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